lunedì 7 ottobre 2013

La Falce Nera della Peste


Agnolo di Tura riferisce: "E non sonavano Campane, e non si piangeva persona, fusse di che danno si volesse, che quasi ogni persona aspettava la morte; e per sì fatto modo andava la cosa, che la gente non credeva, che nissuno ne rimanesse, e molti huomini credevano, e dicevano: questo è fine Mondo".
Si stima che tra il 1347 e il 1353 l’ Europa perse circa un terzo della popolazione dell’epoca. Il motivo di una tale decimazione non fu una guerrà, né una carestia, né un improvviso cambiamento climatico.

La causa furono dei batteri, enterobatteri per la precisione: Yersinia pestis…un essere vivente talmente piccolo da poter essere osservato solamente al microscopio. Un essere vivente che, subdolamente, non viene annientato dal sistema immunitario dell’uomo, ma resiste ad esso, replicandosi fino ad annientare il proprio ospite.


La peste viene trasmessa dalla pulce del ratto, che ingerisce le cellule di Y. pestis succhiando il sangue di un animale infetto. Le cellule si moltiplicano nell'intestino della pulce e possono essere trasmesse ad animali sani attraverso una puntura. Non appena la malattia di diffonde, la mortalità dei ratti diventa così elevata che le pulci infettate cercano un nuovo ospite, uomo compreso. Una volta nell'uomo, le cellule di Y. pestis migrano di solito verso i linfonodi, dove provocano la formazione di aree rigonfie conosciute come bubboni. Per questa ragione la malattia è frequentemente conosciuta come peste bubbonica. I bubboni diventano ripieni di Y. pestis e la capsula di questi batteri impedisce la loro fagocitosi ad opera delle cellule del sistema immunitario. I bubboni secondari, invece, si formano nei linfonodi periferici, e le cellule batteriche infine possono entrare nel circolo ematico, causando setticemia (infezione del sangue) generalizzata. Se non curata prima dello stadio setticemico, i sintomi della peste, forti dolori linfonodali, prostrazione, shock e delirio, progrediscono e solitamente causano la morte in 3-5 giorni.

La forma polmonare è meno frequente, ma molto più pericolosa, con un periodo di incubazione di 2-3 giorni. La localizzazione del germe è in questo caso polmonare e il contagio interumano avviene per via respiratoria.

Quella che devastò l’Europa, causando circa 25 milioni di vittime, fu detta Peste Nera, o Morte Nera.

Nel 1347, l’Orda d’Oro, guidata da Gani Bek, assediava Caffa (l'attuale Feodosija), ricca colonia e scalo sulla via dell'oriente della Repubblica di Genova, nella penisola di Crimea. La peste raggiunse la città al seguito dell'Orda d'Oro: le cronache dell'epoca riportano che gli assedianti gettavano con le catapulte i cadaveri degli appestati entro le mura della città. Gli abitanti di Caffa gettarono immediatamente in mare i corpi, ma la peste comunque entrò in città in questo modo. La malattia giunse in Europa introdotta nella vasta rete commerciale dei genovesi, che si estendeva su tutto il Mediterraneo. Racconta il francescano Michele da Piazza nella sua Historia Siculorum che a portare il morbo furono dodici galee genovesi che raggiunsero il porto di Messina. Quando i Messinesi intuirono da chi aveva avuto origine il contagio cacciarono le navi, ma ciò non bastò a fermare la peste.
Dopo Messina, i primi focolai scoppiarono nei porti più trafficati del Vecchio Mondo, a partire da Costantinopoli, Genova, Pisa e Venezia, per poi diffondersi da essi per ogni dove. Secondo le cronache dell’epoca, la gente moriva per le case, nei palazzi, per le strade, sulle navi, in viaggio per cercare salvezza dopo essere fuggita dalle proprie città.
All’epoca degli spostamenti a piedi, a cavallo, su carri dalle ruote cigolanti trascinati da buoi […] la peste avanzava al passo e mieteva vittime al suo passaggio. 25 milioni di vittime nel XIV secolo. I medici in toga indossavano maschere bianche dal lungo becco d’uccello, piene d’erbe aromatiche per filtrare i miasmi. […] Davanti al grande Terrore nero, non è più la falce e il suo sibilo sugli steli, è il crepitio della mietitrebbiatrice lanciata a tutta velocità in mezzo ai campi di grano. Nessuna terapia. La peste è imprevedibile e mortale, contagiosa e irrazionale. Semina mostruosità e morte, riversa sul mondo il succo nero o giallo dei bubboni che bucano i corpi.          (Da “Peste e Colera” di Patrick Deville)

Ma la peste è razionale, come ogni malattia.
 
Alexandre Yersin, batteriologo, medico ed esploratore, riuscì ad
isolare il bacillo della peste nel 1894, durante una terribile epidemia di peste bubbonica che si sviluppò ad Hong Kong e poi a Saigon. In realtà la scoperta merita di essere raccontata, come meriterebbe di essere raccontata la vita del suo scopritore, Yersin, dal quale poi il nome del bacillo: Yersinia pestis.

 
 

Yersin nacque in Svizzera nel 1863, per poi trasferirsi prima in Germania, a Marburgo, e
successivamente a Parigi. C’è da dire che in quegli anni era in atto una sorta di competizione scientifica tra Robert Koch, che nel 1876 riuscì per primo a coltivare il bacillo dell’antrace (Bacillus anthracis) e Luis Pasteur, il primo uomo a sviluppare un vaccino, quello antirabbico (ma questa è un’altra interessantissima storia che racconterò in un’altra occasione). Yersin decise di unirsi alla piccola banda dei pasteuriani, tra cui anche il batteriologo Roux. Durante i suoi anni a Parigi, presso l’Istituto Pasteur, lavorò al vaccino per la rabbia e sulla tossina della difterite. Ma Yersin era un uomo che si stancava facilmente e aveva voglia di esplorare il mondo, quindi, dopo essersi laureato in medicina e aver conseguito il dottorato con una tesi sulla tubercolosi, Alexandre lasciò l'Istituto Pasteur e si trasferì in Indocina iniziando l’esplorazione degli altopiani indocinesi. Sarà il primo francese ad esplorare il paesaggio intorno a Da Lat e a produrre mappe ad alta precisione. Nel 1891  tornò in Francia per condividere le sue scoperte, ricevendo complimenti anche da Pasteur per le esplorazioni effettuate intorno ai fiumi di Cochin.
Era un uomo che amava viaggiare, esplorare, che curava i malati di Hanoi senza farsi pagare, perché, scrive in una lettera a sua madre Fanny: "…[…] Chiedere soldi per curare un malato è un po' come dirgli o la borsa o la vita". E’ un uomo avido di conoscenza, impara a calcolare le coordinate geografiche osservando gli astri per le proprie esplorazioni, viaggia con un microscopio Zeiss che acquista prima di partire, e che trasporta anche in groppa agli elefanti che utilizzava lungo i suoi spostamenti per le giungle vietnamite e del Laos.
Nel 1894 è richiamato da Pasteur perché si è sviluppata una grave epidemia di peste ad Hong Kong e Pasteur gli chiede di scoprire il germe, prima di allora completamente sconosciuto.
A Saigon, Yersin prende in prestito del materiale medico. Siamo a vent’anni dalla Prima Guerra Mondiale e gli inglesi si rivolgono ai medici giapponesi, che è come dire ai tedeschi: il Robert Koch Institute contro l’Institut Pasteur. Eppure, un italiano francofilo, padre Viganò, è pronto a salvare la faccia della Troisieme Rèpublique in omaggio al Secondo Impero per avere riunito l’Italia. Lo svizzero e l’italiano sono chiamati al servizio della Francia.

Dal suo arrivo ad Hong Kong, sotto una pioggia torrenziale, Yersin vede i cadaveri appestati per le strade e le pozzanghere, in mezzo ai giardini, accanto alle giunche ormeggiate. I soldati britannici trascinano via con la forza i malati e svuotano le loro case, ammassano tutto e gli danno fuoco, versano calce e acido solforico, alzano muri di mattoni rossi per impedire l’accesso ai quartieri infettati. Gli ospedali allagati sono presi d’assalto, inutilmente. Lawson apre un po’ dappertutto dei lazzaretti che sono in realtà degli obitori. Buttano per terra delle stuoie che poi bruceranno insieme a chi le occuperà. La morte arriva in pochi giorni.” (Patrick Deville)
Ci sono tanti topi morti per terra”. I primi appunti buttati giù da Yersin la sera stessa del suo arrivo riguardano le fogne che traboccano e i topi in decomposizione. Grande osservatore, Alexandre.

Yersin è francese (naturalizzato francese, per la precisione), con una fama notevole nel campo della batteriologia, e il governatore inglese lo autorizza a studiare la peste, anche se in realtà la cattiva volontà degli inglesi è evidente. I giapponesi fanno ancora peggio, con il gruppo di Shibasaburo Kitasato che intende riservare per sé tutte le autopsie. Nessun cadavere sarà mai messo a disposizione di Alexandre Yersin che, come scrive Deville, potrebbe dichiararsi sconfitto e riprendere il mare. Ma c’è l’italiano, padre Viganò, che fa costruire in due giorni una capanna per lo svizzero/francese vicino all' Alice Memorial Hospital. Viganò unge le ruote dei marinai inglesi in servizio all’obitorio dell’ospedale, dove sono accatastati i cadaveri in attesa del rogo o del cimitero, e gliene compra qualcuno. Yersin scrive: “I cadaveri sono già dentro la bara e ricoperti di calce. Tolgo un po’ di calce per scoprire la regione crurale. Il bubbone è ben evidente. Lo estraggo in meno di un minuto e salgo nel mio laboratorio […]. Al primo colpo d’occhio riconosco un purè di microbi tutti simili tra loro. Sono piccoli bastoncini tozzi dalle estremità arrotondate”.

Kitasato, che estraeva gli organi e il sangue, e ignorava il bubbone, descrisse lo pneumococco di una infezione collaterale che egli scambia per il microbo.
E senza il caso e la fortuna il genio non è nulla.

Yersin, che lavorava in una capanna, dove la temperatura era di circa 28°C, riuscì ad isolare il batterio perché quest’ultimo cresce meglio a una temperatura più bassa di quella corporea. Kitasato invece, che disponeva di incubatori che permettevano di crescere le colture batteriche a 37°C, temperatura normalmente favorevole alla crescita, non riuscì ad identificare il bacillo della peste, se non successivamente.

Questa è la grande storia della scoperta della Peste, una malattia terribile, caratterizzata da una letalità che nelle forme polmonari, se non curata, si avvicina al 100% (e al 75% nella forma bubbonica), che fece milioni di vittime in pochi anni, che causò la più grande persecuzione degli ebrei prima della Shoah (così, come sempre accade, la colpa dell'epidemia venne fatta ricadere sui "diversi" dell'epoca, gli Ebrei, accusati di avvelenare i pozzi delle città e spesso le processioni dei flagellanti si concludevano con una vera e propria caccia agli Ebrei che venivano trucidati senza tenere conto del fatto che anche questi ultimi morivano di peste proprio come tutti gli altri), che determinò cambiamenti radicali nell'aspetto delle città o nei patrimoni dei sopravvissuti.
La Peste di Boccaccio, la Peste della disperazione.
La Peste che venne sconfitta da un uomo con la passione per la scienza e per la conoscenza, un uomo coraggioso e a volte incosciente, instancabile, con l’antipatia per la politica. Un uomo per il quale scoprire il batterio che uccise decine di milioni di persone fu semplice, come lo fu guardare il mare di Nha Trang per sentirsi felici.

 

domenica 29 settembre 2013

ROBERT HOOKE.... L'UOMO DIMENTICATO.


Voglio iniziare il mio viaggio nel microcosmo partendo da lui. Robert Hooke.
 Che Hooke sia stato il primo uomo a parlare di “cellule”, riconoscendole nelle cavità vuote osservate nelle sezioni di sughero grazie al microscopio da lui perfezionato, è una delle prime cose che si leggono in quasi tutti i testi di biologia.
I fisici (e spero non solo i fisici…) ricorderanno la “legge di Hooke”, secondo la quale l'allungamento subìto da un corpo elastico è direttamente proporzionale alla forza ad esso applicata.
Ma io non voglio parlare qui di cellule o corpi elastici, o almeno non solo. Vorrei parlare di quello che solitamente non è scritto sui libri di scuola. Ad esempio, non tutti sanno che Hooke fu uno dei più importanti scienziati di fine ‘600, contribuendo con le sue idee, i suoi esperimenti, le sue argomentazioni, alla Rivoluzione Scientifica che si ebbe in quel periodo. Non siamo abituati, oggi, a studiare contemporaneamente l’anatomia, il cosmo, l’architettura, la meccanica. Molti diranno che le conoscenze di oggi non permettono di approfondire argomenti così diversi. Trovo però che l’apertura mentale che avevano i grandi scienziati vissuti tra il ‘600 e i primi decenni del ‘900 era tale da permettere una visione dei fenomeni naturali forse più completa. Forse.
Parlando di Robert Hook, Stephen Inwood scrive:

« Hooke gettò i semi di molte scienze […]: dello studio degli insetti, dell'attrito, della resistenza ed elasticità dei materiali, della meteorologia, dell'oceanografia, delle comete, dell'evoluzione, della geologia, dei cristalli, della luce, del calore, del suono, della combustione e della respirazione. Le sue intuizioni sulla luce e sul moto planetario furono importanti nell'indicare la strada »

Aveva paura di essere dimenticato. Viveva nel reale terrore che le sue opere, le sue scoperte, fossero dimenticate, soprattutto dopo la sconfitta nella disputa che lo aveva opposto fortemente a Isaac Newton riguardo al moto dei corpi celesti, e non solo. Un timore che in effetti si trasformò parzialmente in realtà quando, nel 1703, l’anno della morte di Hooke Newton venne eletto alla presidenza della Royal Society.

Robert Hooke nacque nel 1635 in una piccola cittadina dell’Isola di Wight, Inghilterra, da una famiglia modesta (il padre era il curato della parrocchia locale). Aveva due sorelle ed un fratello, Anne, Katherine e John. Vista l’attitudine del giovane Hooke ad apprendere velocemente, il padre pensò ad una sua possibile carriera presso la Chiesa del paese. Il ragazzo però era debole di salute e gli studi teologici gli provocavano terribili mal di testa, cosicchè il padre dovette abbandonare l’idea lasciandolo seguire le proprie inclinazioni. Hooke cominciò quindi a dedicarsi all’artigianato, iniziando a costruire congegni meccanici. Fu allora che ebbe origine il suo interesse per gli orologi e per la navigazione, interessi che lo accompagnarono per tutta la vita. Le sue abilità meccaniche, come anche la capacità di impadronirsi delle abilità di altri uomini, senza alcuna istruzione formale, ebbero quindi un’origine precoce. A 13 anni si trasferì a Londra, portando con sé una buona somma di denaro. Dopo un anno come apprendista del pittore Lely, fu ammesso a frequentare prima la Westminster School e successivamente la Oxford University, dove divenne assistente di Robert Boyle. Per tutta la vita Hooke ebbe un importante legame con lo scienziato, contribuendo, mediante la progettazione e costruzione di una nuova pompa pneumatica, alla formulazione della oggi nota Legge di Boyle.
Successivamente fu nominato curatore degli esperimenti presso la Royal Society, e ciò lo rende il primo scienziato inglese a ricevere un compenso per effettuare ricerche scientifiche. Hooke era considerato una sorta di genio della meccanica, un inventore, una persona dalla capacità unica di progettare e realizzare congegni meccanici dai quali poi trarre considerazioni scientifiche.
Potrei fare qui un elenco di quello che realizzò Hooke, ma non è mia intenzione comporre una lista del genere.
Vorrei solo in qualche modo ricordare la vita, in qualche modo “invisibile”, di quest’uomo, che contribuì con le sue ricerche a gran parte di quelle scoperte che furono poi ricordate con il nome di altri.
Le sue rivalità con altri scienziati, e in particolare con Isaac Newton riguardo la forza gravitazionale e il moto dei pianeti, lo portarono con gli anni a tenere sempre più segrete le proprie ricerche. Inoltre, la rivalità con Newton, il quale era visto come uno splendente astro nascente nel firmamento della scienza, lo portò ad essere messo sempre più da parte nella comunità scientifica dell’epoca, al punto che fu rimosso anche il suo ritratto dai locali della Royal Society.
Robert Hooke non va però dimenticato, come non va dimenticato, ad esempio, che è di Hooke la scoperta dei fenomeni di interferenza che sono oggi chiamati “anelli di Newton”, o che è sua (o almeno parzialmente sua), l’invenzione del telescopio a riflessione che oggi viene attribuita  a Newton (ma ciò è ancora argomento di discussione). E’ di Hooke il perfezionamento del microscopio con il quale, per primo, osservò le cellule; di Hooke la prima osservazione della macchia rossa di Giove, che gli permise di dimostrare la rotazione del pianeta gigante. Sono sue le invenzioni dell’igrometro, dell’anemomentro, del barometro a ruota ed è sua (in competizione con Huyghens), l’invenzione del moderno orologio a molla meccanico.
Sue le idee di utilizzare la pressione atmosferica come indicatore nelle previsioni del tempo e quella di utilizzare la temperatura di congelamento dell’acqua come 0 nella scala termometrica.
Furono di Hooke, gli esperimenti di vivisezione sul cane (che effettuò insieme a R. Lower, e che promise di non ripetere più a causa delle sofferenze inflitte all’animale) che portarono al chiarimento del ruolo dei polmoni nel circolo sanguigno.
Hooke fu inoltre attivamente impegnato nella ricostruzione di Londra dopo il grande incendio del 1666, in veste di architetto. Il suo lavoro fu oscurato per molti anni dalla fama del suo collaboratore e datore di lavoro Christopher Wren. Si deve però ricordare che sono di Hooke la progettazione di residenze private, come Ragley Hall, di molte chiese e edifici pubblici, tra i quali il Bethlem Royal Hospital e il Royal College of Physicians. Tra i frutti della collaborazione tra Hooke e Wren vi è l'Osservatorio di Greenwich, il famoso Monumento al Grande Incendio e la cattedrale di St Paul, che deve a Hooke in particolare la struttura della cupola (con la sezione a forma di catenaria).
 
Tra le opere fondamentali di Robert Hooke voglio citare Micrographia, essendo questo un blog dedicato al mondo invisibile. Nell’opera Hooke riportò le sue osservazioni sull’anatomia di molti insetti, sulla struttura dei cristalli, nonché le sue osservazioni sul sughero (e quindi la sua scoperta delle “cellule”).
Robert Hooke morì nel 1703, all’età di 68 anni, al Gresham College.